La Gazzetta di Parma, april 28 2006

La bacchetta del direttore alla guida dell’orchestra del Regio Palumbo:

«Nella partitura è racchiusa un’energia dirompente»

Viva l’Italia. Renato Palumbo, che questa sera inaugurerà il Festival Verdi 2006 dirigendo Il trovatore al Teatro Regio di Parma, è stato recentemente nominato Generalmusikdrektor della Deutsche Oper di Berlino. Contratto quinquennale: bel colpo. Il secondo titolo del Festival Verdi (Macbeth) sarà diretto da Bruno Bartoletti, per più di trent’anni alla guida artistica della Lyric Opera di Chicago e ora «emerito» del grande teatro statunitense- è doveroso riflettere sul valore della musica – e più estesamente della nostra cultura – come testimone (e non solo vetrina) del nostro saper fare, saper vivere, saper pensare. Ben vengano, allora, le notizie di Palumbo a Berlino, del parmigiano Pertusi che vince il Grammy Award e di Dante Ferretti (scenografo del Trovatore e del Macbeth) che l’anno scorso si è guadagnato un meritatissimo Oscar. Purché non sia solo l’occasione per un brindisi. Abbiamo un giacimento di robuste competenze: dissennato non trivellarlo. Meno male che Il trovatore – come ha dichiarato il regista Elijah Moshinsky – è un’opera «risorgimentale». Questo rende opportuno – anche correndo il rischio della retorica – l’appello a una più decisa consapevolezza delle nostre risorse, introducendo con sereno patriottismo il discorso di Palumbo sull’opera che stasera vedrà l’atteso debutto di Marcelo Alvarez nel ruolo di Manrico. «Nell’ambito della ‘trilogia popolare’ – esordisce Palumbo –, con un Rigoletto che è un autentico thriller e una Traviata di assoluta modernità, Il trovatore è una presenza anomala: una vicenda quasi inconcepibile e un libretto volutamente arcaico hanno spesso indotto a pensare che quest’opera vada svelata e vissuta soprattutto dal punto di vista vocale. Io, però, ritengo che si tratti di una visione limitata, di superficie.» «Sono infatti convinto – spiega il maestro – che Il trovatore segni per verdi un deciso cambio di direzione già in vista dei capolavori della maturità. Mi spiego: la grandezza di Verdi nel Trovatore risiede proprio nel rispetto totale della “forma chiusa”, che è deliberatamente assunta e riflessa, in maniera speciale, dall’architettura del libretto, che si incardina su 4 parti, ciascuna formata da 2 scene. È dall’interno di questa forma così drasticamente quadrata che fiotta la straordinaria corrente emotiva del Trovatore, tremendamente dirompente proprio perché ribolle dentro una “liturgia” formale così tetragona, così definitiva. C’è qualcosa di atavico in questa struttura e da lì viene generato il dramma. Sì, Il trovatore è racconto nel senso primario di “épos”. E lo si capisce fin dall’audace introduzione, con il narrare di Ferrando.» «Il perno del dramma – dichiara Palumbo – è Azucena, per la quale Verdi adotta un linguaggio musicale potentemente atipico rispetto a quello di Manrico, di Leonora e del Conte di Luna, che esprimono incisivamente il loro mondo e i loro desideri attraverso la nobile esaltazione della “solita forma”.»La volontà dal direttore è netta:«Voglio dare dell’opera una lettura in senso belcantistico, per non eludere un dato che reputo essenziale: e cioè che Il trovatore nasce a breve distanza di tempo dalla predominanza assoluta del belcanto di Bellini e Donizetti, inserendosi in una traccia che ci porta fino all’opera moderna, fino al verismo di Puccini e Giordano. È inoltre mia intenzione rendere vitale il testo musicale, mettendo in rislato le efficaci caratterizzazioni tonali dei personaggi e delle situazioni, evidenziando i contrasti e gustando la finezza cameristica di alcune splendide parti della scrittura. Il trovatore è un’opera estremamente ricercata. Tutto è pensato. La “forma chiusa”, qui, è necessità, significato, origine stessa del dramma.»

di Elena Formica

La bacchetta del direttore alla guida dell’orchestra del Regio Palumbo:

«Nella partitura è racchiusa un’energia dirompente»

Viva l’Italia. Renato Palumbo, che questa sera inaugurerà il Festival Verdi 2006 dirigendo Il trovatore al Teatro Regio di Parma, è stato recentemente nominato Generalmusikdrektor della Deutsche Oper di Berlino. Contratto quinquennale: bel colpo. Il secondo titolo del Festival Verdi (Macbeth) sarà diretto da Bruno Bartoletti, per più di trent’anni alla guida artistica della Lyric Opera di Chicago e ora «emerito» del grande teatro statunitense- è doveroso riflettere sul valore della musica – e più estesamente della nostra cultura – come testimone (e non solo vetrina) del nostro saper fare, saper vivere, saper pensare. Ben vengano, allora, le notizie di Palumbo a Berlino, del parmigiano Pertusi che vince il Grammy Award e di Dante Ferretti (scenografo del Trovatore e del Macbeth) che l’anno scorso si è guadagnato un meritatissimo Oscar. Purché non sia solo l’occasione per un brindisi. Abbiamo un giacimento di robuste competenze: dissennato non trivellarlo. Meno male che Il trovatore – come ha dichiarato il regista Elijah Moshinsky – è un’opera «risorgimentale». Questo rende opportuno – anche correndo il rischio della retorica – l’appello a una più decisa consapevolezza delle nostre risorse, introducendo con sereno patriottismo il discorso di Palumbo sull’opera che stasera vedrà l’atteso debutto di Marcelo Alvarez nel ruolo di Manrico. «Nell’ambito della ‘trilogia popolare’ – esordisce Palumbo –, con un Rigoletto che è un autentico thriller e una Traviata di assoluta modernità, Il trovatore è una presenza anomala: una vicenda quasi inconcepibile e un libretto volutamente arcaico hanno spesso indotto a pensare che quest’opera vada svelata e vissuta soprattutto dal punto di vista vocale. Io, però, ritengo che si tratti di una visione limitata, di superficie.» «Sono infatti convinto – spiega il maestro – che Il trovatore segni per verdi un deciso cambio di direzione già in vista dei capolavori della maturità. Mi spiego: la grandezza di Verdi nel Trovatore risiede proprio nel rispetto totale della “forma chiusa”, che è deliberatamente assunta e riflessa, in maniera speciale, dall’architettura del libretto, che si incardina su 4 parti, ciascuna formata da 2 scene. È dall’interno di questa forma così drasticamente quadrata che fiotta la straordinaria corrente emotiva del Trovatore, tremendamente dirompente proprio perché ribolle dentro una “liturgia” formale così tetragona, così definitiva. C’è qualcosa di atavico in questa struttura e da lì viene generato il dramma. Sì, Il trovatore è racconto nel senso primario di “épos”. E lo si capisce fin dall’audace introduzione, con il narrare di Ferrando.» «Il perno del dramma – dichiara Palumbo – è Azucena, per la quale Verdi adotta un linguaggio musicale potentemente atipico rispetto a quello di Manrico, di Leonora e del Conte di Luna, che esprimono incisivamente il loro mondo e i loro desideri attraverso la nobile esaltazione della “solita forma”.»La volontà dal direttore è netta:«Voglio dare dell’opera una lettura in senso belcantistico, per non eludere un dato che reputo essenziale: e cioè che Il trovatore nasce a breve distanza di tempo dalla predominanza assoluta del belcanto di Bellini e Donizetti, inserendosi in una traccia che ci porta fino all’opera moderna, fino al verismo di Puccini e Giordano. È inoltre mia intenzione rendere vitale il testo musicale, mettendo in rislato le efficaci caratterizzazioni tonali dei personaggi e delle situazioni, evidenziando i contrasti e gustando la finezza cameristica di alcune splendide parti della scrittura. Il trovatore è un’opera estremamente ricercata. Tutto è pensato. La “forma chiusa”, qui, è necessità, significato, origine stessa del dramma.»

di Elena Formica

La bacchetta del direttore alla guida dell’orchestra del Regio Palumbo:

«Nella partitura è racchiusa un’energia dirompente»

Viva l’Italia. Renato Palumbo, che questa sera inaugurerà il Festival Verdi 2006 dirigendo Il trovatore al Teatro Regio di Parma, è stato recentemente nominato Generalmusikdrektor della Deutsche Oper di Berlino. Contratto quinquennale: bel colpo. Il secondo titolo del Festival Verdi (Macbeth) sarà diretto da Bruno Bartoletti, per più di trent’anni alla guida artistica della Lyric Opera di Chicago e ora «emerito» del grande teatro statunitense- è doveroso riflettere sul valore della musica – e più estesamente della nostra cultura – come testimone (e non solo vetrina) del nostro saper fare, saper vivere, saper pensare. Ben vengano, allora, le notizie di Palumbo a Berlino, del parmigiano Pertusi che vince il Grammy Award e di Dante Ferretti (scenografo del Trovatore e del Macbeth) che l’anno scorso si è guadagnato un meritatissimo Oscar. Purché non sia solo l’occasione per un brindisi. Abbiamo un giacimento di robuste competenze: dissennato non trivellarlo. Meno male che Il trovatore – come ha dichiarato il regista Elijah Moshinsky – è un’opera «risorgimentale». Questo rende opportuno – anche correndo il rischio della retorica – l’appello a una più decisa consapevolezza delle nostre risorse, introducendo con sereno patriottismo il discorso di Palumbo sull’opera che stasera vedrà l’atteso debutto di Marcelo Alvarez nel ruolo di Manrico. «Nell’ambito della ‘trilogia popolare’ – esordisce Palumbo –, con un Rigoletto che è un autentico thriller e una Traviata di assoluta modernità, Il trovatore è una presenza anomala: una vicenda quasi inconcepibile e un libretto volutamente arcaico hanno spesso indotto a pensare che quest’opera vada svelata e vissuta soprattutto dal punto di vista vocale. Io, però, ritengo che si tratti di una visione limitata, di superficie.» «Sono infatti convinto – spiega il maestro – che Il trovatore segni per verdi un deciso cambio di direzione già in vista dei capolavori della maturità. Mi spiego: la grandezza di Verdi nel Trovatore risiede proprio nel rispetto totale della “forma chiusa”, che è deliberatamente assunta e riflessa, in maniera speciale, dall’architettura del libretto, che si incardina su 4 parti, ciascuna formata da 2 scene. È dall’interno di questa forma così drasticamente quadrata che fiotta la straordinaria corrente emotiva del Trovatore, tremendamente dirompente proprio perché ribolle dentro una “liturgia” formale così tetragona, così definitiva. C’è qualcosa di atavico in questa struttura e da lì viene generato il dramma. Sì, Il trovatore è racconto nel senso primario di “épos”. E lo si capisce fin dall’audace introduzione, con il narrare di Ferrando.» «Il perno del dramma – dichiara Palumbo – è Azucena, per la quale Verdi adotta un linguaggio musicale potentemente atipico rispetto a quello di Manrico, di Leonora e del Conte di Luna, che esprimono incisivamente il loro mondo e i loro desideri attraverso la nobile esaltazione della “solita forma”.»La volontà dal direttore è netta:«Voglio dare dell’opera una lettura in senso belcantistico, per non eludere un dato che reputo essenziale: e cioè che Il trovatore nasce a breve distanza di tempo dalla predominanza assoluta del belcanto di Bellini e Donizetti, inserendosi in una traccia che ci porta fino all’opera moderna, fino al verismo di Puccini e Giordano. È inoltre mia intenzione rendere vitale il testo musicale, mettendo in rislato le efficaci caratterizzazioni tonali dei personaggi e delle situazioni, evidenziando i contrasti e gustando la finezza cameristica di alcune splendide parti della scrittura. Il trovatore è un’opera estremamente ricercata. Tutto è pensato. La “forma chiusa”, qui, è necessità, significato, origine stessa del dramma.»

di Elena Formica

La bacchetta del direttore alla guida dell’orchestra del Regio Palumbo:

«Nella partitura è racchiusa un’energia dirompente»

Viva l’Italia. Renato Palumbo, che questa sera inaugurerà il Festival Verdi 2006 dirigendo Il trovatore al Teatro Regio di Parma, è stato recentemente nominato Generalmusikdrektor della Deutsche Oper di Berlino. Contratto quinquennale: bel colpo. Il secondo titolo del Festival Verdi (Macbeth) sarà diretto da Bruno Bartoletti, per più di trent’anni alla guida artistica della Lyric Opera di Chicago e ora «emerito» del grande teatro statunitense- è doveroso riflettere sul valore della musica – e più estesamente della nostra cultura – come testimone (e non solo vetrina) del nostro saper fare, saper vivere, saper pensare. Ben vengano, allora, le notizie di Palumbo a Berlino, del parmigiano Pertusi che vince il Grammy Award e di Dante Ferretti (scenografo del Trovatore e del Macbeth) che l’anno scorso si è guadagnato un meritatissimo Oscar. Purché non sia solo l’occasione per un brindisi. Abbiamo un giacimento di robuste competenze: dissennato non trivellarlo. Meno male che Il trovatore – come ha dichiarato il regista Elijah Moshinsky – è un’opera «risorgimentale». Questo rende opportuno – anche correndo il rischio della retorica – l’appello a una più decisa consapevolezza delle nostre risorse, introducendo con sereno patriottismo il discorso di Palumbo sull’opera che stasera vedrà l’atteso debutto di Marcelo Alvarez nel ruolo di Manrico. «Nell’ambito della ‘trilogia popolare’ – esordisce Palumbo –, con un Rigoletto che è un autentico thriller e una Traviata di assoluta modernità, Il trovatore è una presenza anomala: una vicenda quasi inconcepibile e un libretto volutamente arcaico hanno spesso indotto a pensare che quest’opera vada svelata e vissuta soprattutto dal punto di vista vocale. Io, però, ritengo che si tratti di una visione limitata, di superficie.» «Sono infatti convinto – spiega il maestro – che Il trovatore segni per verdi un deciso cambio di direzione già in vista dei capolavori della maturità. Mi spiego: la grandezza di Verdi nel Trovatore risiede proprio nel rispetto totale della “forma chiusa”, che è deliberatamente assunta e riflessa, in maniera speciale, dall’architettura del libretto, che si incardina su 4 parti, ciascuna formata da 2 scene. È dall’interno di questa forma così drasticamente quadrata che fiotta la straordinaria corrente emotiva del Trovatore, tremendamente dirompente proprio perché ribolle dentro una “liturgia” formale così tetragona, così definitiva. C’è qualcosa di atavico in questa struttura e da lì viene generato il dramma. Sì, Il trovatore è racconto nel senso primario di “épos”. E lo si capisce fin dall’audace introduzione, con il narrare di Ferrando.» «Il perno del dramma – dichiara Palumbo – è Azucena, per la quale Verdi adotta un linguaggio musicale potentemente atipico rispetto a quello di Manrico, di Leonora e del Conte di Luna, che esprimono incisivamente il loro mondo e i loro desideri attraverso la nobile esaltazione della “solita forma”.»La volontà dal direttore è netta:«Voglio dare dell’opera una lettura in senso belcantistico, per non eludere un dato che reputo essenziale: e cioè che Il trovatore nasce a breve distanza di tempo dalla predominanza assoluta del belcanto di Bellini e Donizetti, inserendosi in una traccia che ci porta fino all’opera moderna, fino al verismo di Puccini e Giordano. È inoltre mia intenzione rendere vitale il testo musicale, mettendo in rislato le efficaci caratterizzazioni tonali dei personaggi e delle situazioni, evidenziando i contrasti e gustando la finezza cameristica di alcune splendide parti della scrittura. Il trovatore è un’opera estremamente ricercata. Tutto è pensato. La “forma chiusa”, qui, è necessità, significato, origine stessa del dramma.»

di Elena Formica

La bacchetta del direttore alla guida dell’orchestra del Regio Palumbo:

«Nella partitura è racchiusa un’energia dirompente»

Viva l’Italia. Renato Palumbo, che questa sera inaugurerà il Festival Verdi 2006 dirigendo Il trovatore al Teatro Regio di Parma, è stato recentemente nominato Generalmusikdrektor della Deutsche Oper di Berlino. Contratto quinquennale: bel colpo. Il secondo titolo del Festival Verdi (Macbeth) sarà diretto da Bruno Bartoletti, per più di trent’anni alla guida artistica della Lyric Opera di Chicago e ora «emerito» del grande teatro statunitense- è doveroso riflettere sul valore della musica – e più estesamente della nostra cultura – come testimone (e non solo vetrina) del nostro saper fare, saper vivere, saper pensare. Ben vengano, allora, le notizie di Palumbo a Berlino, del parmigiano Pertusi che vince il Grammy Award e di Dante Ferretti (scenografo del Trovatore e del Macbeth) che l’anno scorso si è guadagnato un meritatissimo Oscar. Purché non sia solo l’occasione per un brindisi. Abbiamo un giacimento di robuste competenze: dissennato non trivellarlo. Meno male che Il trovatore – come ha dichiarato il regista Elijah Moshinsky – è un’opera «risorgimentale». Questo rende opportuno – anche correndo il rischio della retorica – l’appello a una più decisa consapevolezza delle nostre risorse, introducendo con sereno patriottismo il discorso di Palumbo sull’opera che stasera vedrà l’atteso debutto di Marcelo Alvarez nel ruolo di Manrico. «Nell’ambito della ‘trilogia popolare’ – esordisce Palumbo –, con un Rigoletto che è un autentico thriller e una Traviata di assoluta modernità, Il trovatore è una presenza anomala: una vicenda quasi inconcepibile e un libretto volutamente arcaico hanno spesso indotto a pensare che quest’opera vada svelata e vissuta soprattutto dal punto di vista vocale. Io, però, ritengo che si tratti di una visione limitata, di superficie.» «Sono infatti convinto – spiega il maestro – che Il trovatore segni per verdi un deciso cambio di direzione già in vista dei capolavori della maturità. Mi spiego: la grandezza di Verdi nel Trovatore risiede proprio nel rispetto totale della “forma chiusa”, che è deliberatamente assunta e riflessa, in maniera speciale, dall’architettura del libretto, che si incardina su 4 parti, ciascuna formata da 2 scene. È dall’interno di questa forma così drasticamente quadrata che fiotta la straordinaria corrente emotiva del Trovatore, tremendamente dirompente proprio perché ribolle dentro una “liturgia” formale così tetragona, così definitiva. C’è qualcosa di atavico in questa struttura e da lì viene generato il dramma. Sì, Il trovatore è racconto nel senso primario di “épos”. E lo si capisce fin dall’audace introduzione, con il narrare di Ferrando.» «Il perno del dramma – dichiara Palumbo – è Azucena, per la quale Verdi adotta un linguaggio musicale potentemente atipico rispetto a quello di Manrico, di Leonora e del Conte di Luna, che esprimono incisivamente il loro mondo e i loro desideri attraverso la nobile esaltazione della “solita forma”.»La volontà dal direttore è netta:«Voglio dare dell’opera una lettura in senso belcantistico, per non eludere un dato che reputo essenziale: e cioè che Il trovatore nasce a breve distanza di tempo dalla predominanza assoluta del belcanto di Bellini e Donizetti, inserendosi in una traccia che ci porta fino all’opera moderna, fino al verismo di Puccini e Giordano. È inoltre mia intenzione rendere vitale il testo musicale, mettendo in rislato le efficaci caratterizzazioni tonali dei personaggi e delle situazioni, evidenziando i contrasti e gustando la finezza cameristica di alcune splendide parti della scrittura. Il trovatore è un’opera estremamente ricercata. Tutto è pensato. La “forma chiusa”, qui, è necessità, significato, origine stessa del dramma.»

di Elena Formica

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